La violenza nelle relazioni familiari è una tematica assai trattata e discussa, stante, purtroppo, la sua perdurante attualità.
Nel nostro ordinamento giuridico, tuttavia, la violenza intrafamiliare o domestica ha assunto connotazioni più definite solamente di recente, considerato che soltanto con le leggi n. 149/2001 e n. 154/2001 il Legislatore ha codificato due strumenti di tutela da apprestare nell’ipotesi in cui sussistano abusi familiari. In particolar modo, la succitata L. n. 149/2001 ha previsto , in materia di adozione, la possibilità di allontanare, dal nucleo familiare, non solo il minore ma anche il genitore o convivente maltrattante o abusante, congiuntamente all’adozione di provvedimenti ablativi o restrittivi della potestà genitoriale.
La L. n. 154/2001 – < Misure contro la violenza nelle relazioni familiari >, invece, ha introdotto, nel Libro I del codice civile, il Titolo IXbis rubricato “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, che si compone degli artt. 342 bis e 342 ter. , in virtù dei quali, qualora la condotta del coniuge o di altro convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, con un provvedimento avente natura provvisoria, il giudice ne può disporre l’allontanamento nonché imporre a suo carico il pagamento di un assegno periodico a favore dei familiari che, proprio per effetto dell’allontanamento, rimangano privi di mezzi di sostentamento adeguati.
Ai fini dell’adozione di tali ordini di protezione, autorevole orientamento ha chiarito che non risulta indispensabile il requisito della convivenza effettiva, sulla base del condiviso presupposto per il quale la violenza tra familiari può esplicarsi anche oltre le mura domestiche e concretizzarsi in comportamenti vessatori che costringano la vittima ad abbandonare la casa coniugale a fronte di continue intimidazioni. Può ritenersi sussistente il requisito della convivenza, ad esempio, anche nel caso di conflittualità tra fratelli, pur quando vi sia stato l’allontanamento provocato dal profondo timore di subire violenza fisica dal congiunto, mantenendo nell’abitazione familiare il centro degli interessi materiali ed affettivi (cfr. Trib. Padova nr. 3572/2006).
Gli ordini di protezione, altresì, possono concernere anche i figli che tengano reiterati comportamenti aggressivi nei confronti dei genitori ed atteggiamenti idonei ad arrecare una rilevante lesione alla serenità della vita familiare, alla dignità dei suoi componenti ed alla funzione di guida e di indirizzo spettante ai genitori; può essere, in tal senso, disposto l’allontanamento del figlio maggiorenne che, a causa del dichiarato e manifesto disagio psichico, metta in pericolo l’incolumità fisica e morale degli altri membri della famiglia, con onere per il giudicante adito di disporre tutte le adeguate cautele per assicurare alla persona allontanata, se non autosufficiente, le giuste condizioni di mantenimento e sostentamento.
Condizione necessaria per l’adozione di tali provvedimenti di tutela si rivela, al contrario, la sussistenza di una condotta lesiva della integrità fisica o morale ovvero della libertà dell’altro coniuge o convivente, beni costituzionalmente protetti.
Il ricorso all’art. 342 bis cod. civ., vale a dire, è legittimato dal verificarsi di eventi lesivi capaci di alterare o ferire la dignità dell’individuo, di comprometterne la libertà di movimento o d’espressione, ripetuti e prolungati nel tempo, tali da essere fortemente offensivi ed impeditivi della prosecuzione della vita familiare. E’ stato chiarito, difatti, che in tema di abusi familiari, il pregiudizio all’integrità fisica non necessariamente consegue ad aggressioni fisiche, ben potendo concretizzarsi nelle aggressioni meramente verbali che, reiterate nel tempo ed accompagnate da un clima di continua tensione all’interno della famiglia, sono certamente idonee ad arrecare un grave pregiudizio alla salute fisica delle vittime.
La competenza ratione materiae è del Tribunale: dispone, infatti, l’art. 736 bis cod. proc. civ. che l’istanza di parte dev’essere proposta con ricorso al Tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’istante, il quale provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. La durata dell’ordine di protezione ex art. 342 bis cod. civ., poi, non può eccedere i sei mesi ma tale durata può essere prorogata, per il tempo strettamente necessario, laddove ricorrano gravi motivi. Così come prescrive l’art. 342 ter cod. civ., l’ordine di protezione può assumere contenuto diversificato potendo, non solo, disporre l’allontanamento dalla casa familiare ma, altresì, potendo includere l’ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti del richiedente nonché ai luoghi di istruzione dei figli della coppia. Il giudice può disporre, ancora, l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare ovvero di una associazione che abbia come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori, vittime di abusi e maltrattati.
Giova ricordare, a tal riguardo, che, analogamente a quanto previsto in sede civilistica, il coniuge o convivente vittima di abusi familiari può invocare tutela anche sotto il profilo penale ed ottenere tutte le misure cautelari personali previste, in materia, dal Legislatore.
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